Recensioni
Porci con le ali, Marco Lombardo Radice e Lidia Ravera
Mondi tra le righe
Sesso e pare di due adolescenti
Cari tutti oggi parliamo di Porci con le ali. Diario sessuo-politico di due adolescenti.
Si tratta di un romanzo scritto nel 1976 a quattro mani. Cosa vuol dire scrivere un romanzo a quattro mani? Significa che due scrittori collaborano per la stesura di un unico libro, e in questo caso di un’unica storia. Gli autori sono Marco Lombardo Radice e Lidia Ravera, i quali “interpretano” rispettivamente i ruoli dei due protagonisti, Rocco e Antonia. La storia del romanzo è una sola quindi, ma raccontata da due punti di vista separati che più o meno si alternano, e forniscono versioni diverse delle cose che succedono.
Radice e Ravera
Da una parte abbiamo Rocco, membro convintissimo del collettivo studentesco di sinistra del suo liceo, il Terenzio Mamiani (a Roma), che muove i primi passi nel mondo della sessualità e che è alla ricerca di sé stesso. Dall’altra, invece, abbiamo Antonia, diciassettenne precoce (diciamo così) dal punto di vista sessuale, che incarna un insolito connubio tra civetteria promiscua e femminismo militante, che manco a dirlo sfocia in un elucubrazione sfiancante sulla propria esistenza.
Il libro parla della storia d’amore tra questi due ragazzi: comincia che si conoscono a malapena, di vista, e finisce che se la prendono non ammale, di più, per la fine scarognata della loro relazione.
A dare il via al tutto è un abbraccio. Durante un corteo di commemorazione per un “compagno caduto”, ammazzato dalle guardie, sia Rocco sia Antonia vengono presi da una commozione estrema e inaspettata, che crea il pretesto per cui si conoscono, e in men che non si dica finiscono con l’innamorarsi. Leggiamo delle vicende tra i due, del sesso, dei bisticci, insomma il resoconto senza veli di una relazione tra due adolescenti con un sottotesto di ideologia politico-culturale che li influenza e polarizza il loro stare insieme.
Se per Rocco il collettivo viene prima di tutto (nonostante non lo ammetta a parole), per Antonia ben presto il rapporto con lui si trasforma da amore vero, infinito, eterno, in un rimuginio angoscioso e angosciante sul se effettivamente si tratti di un sentimento autentico, o piuttosto di un legame fondato sul coito e sul piacere. Antonia si fa un casino di pare a proposito, pare che inevitabilmente nascono dalle sue fortissime convinzioni femministe, dai suoi valori ortodossi, dal suo considerarsi donna nonostante non sappia bene come dovrebbe comportarsi una donna, perché ancora acerba seppur piena di aspirazioni.
In quest’ottica, dal punto di vista prettamente psicologico, il punto di vista di Antonia risulta senza dubbio più accattivante perché complesso. Piegata al desiderio innato di essere posseduta, di essere la donna di Rocco, si sente sviscerata una volta ridotta a una sua proprietà, nient’altro che un oggetto, una cianfrusaglia senza pregio alcuno se non, come dice lei stessa, “qualche buco in cui può infilare il suo coso e venirsene come e quando gli pare”. Dai ragionamenti della protagonista possiamo carpire quali erano i grandi temi di dibattito sull’identità femminile che i ruggenti anni post Sessantotto hanno portato con sé. Sì perché in Italia si sa, arriviamo sempre un po’ in ritardo.
Ma allora sono una brava femminista se voglio fare l’amore e non parlare di politica? Sono una donna indipendente e intellettuale se a stare in mezzo alla gente del collettivo mi vien la depressione? E sono perbenista ipocrita se non voglio una coppia aperta, mezza sfasciata da sinistra truce, ma un matrimonio borghesotto di quelli noiosi celebrati in chiesa?
Queste sono le paturnie mentali che si fa Antonia, che si accumulano e accumulano pagina dopo pagina. Mentre per Rocco il maggiore sbattimento arriva alla fine (occhio che spoilero) perché Antonia in fin dei conti deve fare la troia: meno di una settimana che hanno rotto e già si scopa il tizio trentenne del collettivo, sulla moquette del soggiorno di Simona, proprio in faccia a lui.
Eh sì, per Rocco e Antonia non c’è il finale romantico da favoletta. Non si capisce nemmeno benissimo perchè Antonia abbia voluto troncare e manco perchè si sia scopata il ciccione davanti al povero Rocco, o perchè gli abbia mandato una lettera d’amore se poi il risultato è stato un’umiliazione al cubo per entrambi. Bah. Adolescenti. Così tremendamente estremisti nell’autodefinirsi e così tragicamente, intimamente spaesati.
Ma ora, facciamo un grande salto a due piedi oltre la trama, che sì, ci garba, ma questo libro è figo anche per altri motivi. Innanzitutto ci tengo a spiegare perchè possiamo dire che Porci con le ali sia un caso letterario e perché sia stato uno spartiacque. Il fatto è, amichetti divanari, che si tratta di un romanzo talmente esplicito da esser stato CENSURATO. Avete capito bene. Negli anni Settanta, in Italia, la storia erotico-romantica di due adolescenti intelletualoidi venne messa all’Indice.
Tuttavia, la censura non fu sufficientemente repentina: quando il romanzo venne pubblicato, in poche migliaia di copie, fu una bomba sul panorama editoriale. Il linguaggio fresco, moderno e senza veli perbenisti suscitò clamore e scandalo nella società di quegli anni, diventando immediatamente un caso mediatico di dimensioni dirompenti. Nel giro di poco centinaia di copie scomparvero dal mercato, vittime della censura, ma in compenso cominciarono a circolare copie pirata che non fecero altro che aumentare la popolarità del romanzo. Gli adolescenti dell’epoca si riconoscevano in Rocco e Antonia, leggevano tra le righe i loro stessi pensieri, le loro stesse paure. Con una lingua e un registro assolutamente caratterizzanti fin dalle prime righe dell’incipit (che vi risparmio), crudo, volgare, gergale, talvolta scorretto e incoerente come potrebbero essere i pensieri e le azioni di un diciassettenne, il romanzo fa entrare il lettore nella mente dei protagonisti, con una verosimiglianza potentissima. Per quanto riguarda la scrittura, dal punto di vista tecnico si può parlare di discorso indiretto libero, alternato in alcuni punti al discorso diretto tradizionale. Si dice indiretto libero perché non è un monologo, non è un soliloquio, non è il racconto dei fatti nudi e crudi, non un pippone completamente privo di evocatività, né un trip mentale introspettivo. I protagonisti ragionano, agiscono, raccontano cose in un flusso di coscienza sensato e consequenziale, coerente e appassionante. Insomma questo modo di scrivere ti tiene attaccato quando leggi, è difficile staccarsi. Si tratta di uno dei primi casi e forse uno dei più eclatanti in Italia di lingua moderna sporca. Leggerlo ricorda vagamente Tondelli, un po’ Welsh se tralasciamo la componente Scozia, droga, e forse in chiave porno un po’ più innocente.
In sostanza amici, trovate 'sto libro e mangiatevelo in un boccone, perché merita. Non solo per queste ultime cose mega succulente che vi ho raccontato, ma proprio anche per il contesto in cui è stato pubblicato, per il sottotesto rivoluzionario di gioventù fomentata e fomentatrice in cui è ambientato il tutto.
Fidatevi, non vi deluderà. E ora vi mollo con una bella citazione di Antonia.
“E se non devo alzare la voce allora non parlo neanche. Non parlo se non posso alzare la voce. Perché voi volete che noi parliamo, però è sempre un parlare diverso. Con delle regole. Io quel parlare lì, non lo chiamo parlare.”