Recensioni

Otto anni, Jury Romanini

Mondi tra le righe

EXÒRMA

Dice un articolo, uno di quelli che si trovano sulle riviste da sfogliare nelle sale d’attesa, che una ricerca scientifica ha dimostrato che il nostro corpo è in continua metamorfosi. Le cellule muoiono in continuazione, e vengono sostituite da quelle nuove. Qualcuno ha calcolato che nel giro di otto anni ogni singola cellula che costituisce un corpo sia stata sostituita. In pratica, ogni otto anni siamo una persona nuova. È per questo che quando Anna scopre di essere malata e non avere più molto tempo, chiede ad Aimo, suo marito, di aspettare otto anni prima di amare ancora qualcuno. 

“E quindi ho pensato: fra otto anni tu non sarai più tu! Voglio dire… il corpo che io ho toccato, baciato e amato in questi ultimi giorni e in tutti i giorni prima di questi non sarà più lo stesso. Certo continuerai a essere il solito Aimo, giusto un po’ invecchiato, ma di fatto i tuoi occhi non mi avranno mai vista, le tue mani non mi avranno mai accarezzata; le tue guance così come i tuoi peli, il tuo sudore e la moltitudine dei tuoi nei saranno per me sconosciuti. Sarà un corpo che non mi ha mai incontrata e che non ho mai stretto tra le braccia, sarà il tuo ma non sarà più il mio”.

Questa è la premessa narrativa di Otto anni, romanzo ambientato in un non meglio precisato paesino della campagna italiana. Qui, vivono Anna, un’artista, e Aimo, un professore. Ma i due non sono gli unici protagonisti di una narrazione che abbraccia anche la voce di Gianni, uno stradino amico della coppia, e Algiz, una strana ragazzina cui Aimo fa da precettore privato.

Da qui prende il via una storia camaleontica: che nasconde le sue biforcazioni e la sua direzione. Una storia che parte dal dolore di Aimo per la scomparsa della compagna e arriva non si sa bene dove; o almeno, vale la pena mantenere il riserbo a proposito.

Perché la forza di questa storia sta nella svolta imprevista e strabiliante che prende la narrazione quando meno ce lo si aspetta. Se per le prime pagine l’impressione è quella di trovarsi di fronte al racconto normale di vite normali: alla rappresentazione del dolore per una perdita e dell’impossibilità di comunicarlo o condividerlo, nella seconda metà del libro Jury Romanini imprime una svolta esoterica alle vicende di Aimo. Sembra intervenire, come ci si aspetterebbe per la sua stessa natura, una componente magica: e allora il lettore vede tutto sotto una nuova luce, che sembra ricoprire con nuovi significati quello cui abbiamo assistito fino a un momento prima.

Questo colpo di scena, perché così si può definire a pieno titolo, regala una scossa al libro. Un ribaltamento della prospettiva generale che salva quella che altrimenti rischia di essere una scrittura troppo appiattita sulla pedissequa descrizione di un uomo distrutto dalla morte della compagna. Descrizione che risulta comunque utile a farci empatizzare con Aimo. Non si perde in fronzoli e restituisce la vita di un paesino con la delicatezza che solo chi guarda alla vita di paese con occhio benevolo sa imprimere. E però, tutto questo non basterebbe a lasciare incollati al libro, per questo di quanto accade nel bosco non tratteremo in questa recensione; lasciamo tutto apparecchiato per gustarsi questa piroetta nel menù.

“La direzione dello scarabeo non era casuale. Dopo un po’ mi sono accorto che corrispondeva esattamente alla Via Lattea. È una tecnica speciale dello stercorario. Vedi… il suo mondo è fatto di merda, un piccolo pianetino di cacca tenera e polverosa. Quando le cose non vanno per il verso giusto e perde la bussola, non si abbatte come facciamo noi, lui ci sale sopra e usa tutta quella merda per guardare il cielo. fa tutti quegli strani movimenti che sembrano una danza e ritrova la via. Non so se vede le stelle come le vediamo noi. Fatto sta che vede la stessa direzione della Via Lattea e tanto gli basta. Per uscire da l bosco ho fatto lo stesso. Ho preso la direzione indicata dallo stercorario e poco dopo l’alba ero a casa”.

Una cosa da dire però c’è: i due blocchi del romanzo sembrano quasi alieni l’uno all’altro. Non lasciano l’impressione di comunicare tra loro ed essere organicamente consecutivi. Il taglio netto che Romanini opera al racconto della quotidianità del paese da un lato, come detto, è prodromico di una svolta nella narrazione, ma dall’altro sembra dare un taglio così netto a quanto viene raccontato prima da far pensare che l’autore stesso volesse, in qualche modo, far cambiare aria in fretta ai suoi personaggi. Solo nel finale, delicato e toccante come lo stile di scrittura di Romanini, riusciamo in qualche modo a connettere qualche filo e provare la sensazione di aver letto una storia e non due. Aimo riuscirà a trovare un senso all’ordine impartitogli da Anna? Ai lettori la risposta.

Eugenio Manuelli

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