Recensioni
Il violino del pazzo, Selma Lagerlöf
Mondi tra le righe
Amore, pazzia e un violino
Stravaccato sul mio comodo divano, oggi vi parlo di un libro di un’autrice non molto conosciuta, Selma Lagerlöf, vincitrice del premio Nobel per la letteratura all’inizio del '900. Il violino del pazzo è una storia d’amore che ci fa dimenticare del mondo esterno per un paio d’ore e ci fa rivivere il gelo e la quiete delle foreste scandinave.
Per il tema del mese, ero un po’ in alto mare, data la mia scarsa conoscenza di artisti nordici. Dopo varie ricerche sono arrivato alle numerose opere di Selma Lagerlöf, tra cui quella di oggi, andando leggermente alla cieca; è così che ho scoperto questa piccola perla.
Gunnar Hede è un amante del suo violino e della sua residenza di famiglia. Quando si rende conto di dover rinunciare al primo per salvare la seconda a causa dei problemi economici in famiglia, la situazione per Gunnar si complica. Dopo aver deciso di concentrarsi sugli studi per poter rimediare al problema, il protagonista sacrifica la propria vocazione, che col passare del tempo è diventata quasi un bisogno fisico. Il violino per lui è l’unico modo per sfogarsi e per staccare la testa dall’esistenza che lo tormenta ogni secondo. Il violino, letteralmente, gli parla e gli spiega che grazie al suo aiuto tutto è possibile, addirittura sconfiggere le proprie paure e ripulire la sua anima. Decide quindi di suonare un’ultima volta, chiedendo in prestito il violino da un vecchio cieco che fa parte di un gruppo di artisti di strada. Così conosce Ingrid, una bambina dallo sguardo magnetico e dal viso dolce. Gunnar però ha rotto il voto fatto per aver suonato il violino e quindi parte per fare il commesso viaggiatore, come suo nonno, per salvare la tenuta. Rinunciare alla sua arte però lo fa impazzire, cosa che lo rende famoso in tutti i borghi che attraversa per essere impaurito da qualsiasi cosa, soprattutto dagli animali. Porta appresso il suo violino, ma non è lui a suonarlo; è il violino stesso che ricorda le melodie, e suona pochissime volte generando effetti incredibili. In questo punto si infittisce il tutto. Gli effetti di cui parlo sono, per esempio, resuscitare le persone. Sono passati un paio d’anni e Ingrid, che viene colpita da una forte malattia, viene confusa per morta e seppellita viva. Il pazzo, passato di lì per caso, la risveglia con la melodia del suo violino e la tira fuori dalla bara. Da qui ha inizio il forte dualismo del libro; Ingrid, per tutti questi anni, ha sognato lo studente con il violino che animava la festa e non riesce subito a riconoscere quella figura nel pazzo, pur essendo la stessa persona. L’unico momento in cui lo vede è in sogno; le compare, accorre in suo aiuto per salvarla, ma ogni volta che apre gli occhi c’è il pazzo. Qui sta il dualismo, amare l’idea di quella persona pur avendone davanti un’altra. Fare i conti con la realtà e sopportare il terrore della malattia mentale, contrapposta all’attrazione che si prova nei confronti di una persona. L’autrice ci spiega che senza amore l’uomo non può vivere e la virtù non può fiorire. L’uomo senza amore è come un albero a cui hanno reciso le radici, che resta languido ad assistere alla propria fine.
In ogni caso ho trovato questo libro molto comodo da leggere; il linguaggio si avvicina a quello della fiaba, ma posto in un contesto più moderno, in modo da rendere più nitide le immagini che vengono descritte. A tal proposito, le descrizioni sono molto dettagliate, immergono completamente nel silenzio e nella solitudine delle foreste scandinave ricoperte di neve. I dialoghi sono meno presenti e direi più funzionali che altro, ho trovato sufficiente l’espressività dei sentimenti e delle azioni ben definite per farmi coinvolgere. Per i personaggi potrei dire la stessa cosa del linguaggio; le loro decisioni sono coerenti e precedute da lunghi ragionamenti che le rendono estremamente realistiche e umane.
Il tema più importante è quello dell’amore, come ho già spiegato, ma io durante la lettura ho trovato più incisivo quello della malattia mentale. Gunnar si ammala per essersi dedicato a una vita non sua, per paura di perdere tutto quello che la sua famiglia possiede. Nonostante la condizione sociale in cui si trova Ingrid decide di stare al suo fianco, ed è interessante il metodo con cui affronta la malattia perché la gestisce di petto; alla fine lei quasi lo ricatta dicendogli che è facile chiudersi in queste scuse, è facile fare la vittima e accogliere la malattia per non dover affrontare il mondo reale. L’ho trovata molto moderna come concezione per un libro concepito in un’epoca dove la mente umana era una nuova scoperta. In più il tema della musica emerge, ma poco a mio avviso, anche perché propone un altro concetto interessante; sia quello di purificarsi completamente, sia quello di definire la figura dell’artista, qualcuno che non riflette sulle bollette o sui doveri, ma sul semplice scopo di dilettare un pubblico e condividere il proprio io con il mondo.
Non sono un grande amante dell’amore, e questo libro ci va abbastanza a braccetto, però è una lettura che mi ha fatto passare qualche ora sotto la coperta e mi ha fatto riflettere su una cultura completamente distante dalla mia, e soprattutto sull’idea che si aveva un centinaio di anni fa sulla profondità dell’animo. Selma Lagerlöf è sicuramente un’autrice che consiglio a tutti per la facilità con cui esprime concetti, anche in poche pagine, che ai tempi erano nuovi e complicati, e per la capacità di far aprire gli occhi su una fetta di mondo che spesso tendiamo a ignorare, le grandi isole fredde del Nord.