Recensioni

Il sentiero dei nidi di ragno, Italo Calvino

Mondi tra le righe

Pin e il suo luogo magico

Stravaccato sul mio comodo divano, oggi vi parlo di un libro che ha segnato la letteratura del secolo scorso, facendo emergere uno degli autori più importanti della nostra terra.

Il sentiero dei nidi di ragno di Italo Calvino rappresenta l’esordio esplosivo per eccellenza, che porterà l’autore lungo un percorso di crescita artistica ancora oggi memorabile.

Ero preoccupato all’idea di dover leggere Calvino. È un grandissimo autore, ma molto difficile. Mi sono letto romanzi come Le Città Invisibili e Se una notte d’inverno un viaggiatore, che sono piacevoli quanto noiosi.
Dalle prime righe de Il sentiero dei nidi di ragno, però, ho subito capito che si trattava di un qualcosa di completamente diverso.

È bastato poco per catturare la mia attenzione e lasciarmi incollato per numerose pagine.
La storia si apre con Pin, un bambino del Carrugio Lungo, un piccolo quartiere trasandato, che durante la guerra vive le giornate lavorando in una bottega per pochi spiccioli. Pin odia i bambini della sua età, perché troppo egocentrici, e preferisce passare il suo tempo con gli ubriaconi dell’osteria a bere e cantare.

Quando però quest’ultimi gli propongono di rubare una pistola al tedesco che frequenta sua sorella, Pin comincia a vivere in prima persona la guerra. Lo porteranno in prigione, scapperà e si unirà a un distaccamento di partigiani, fuggirà per ritrovare la pistola che aveva nascosto nel sentiero dove fanno i nidi i ragni. Tutto ciò dopo aver conosciuto il suo amico: il Cugino, un partigiano amichevole e dal grilletto facile.

Gli eventi si susseguono uno all’altro con molta costanza, il ritmo segue una linea dritta e precisa, senza mai rallentare. La lingua si avvicina a quella colloquiale, il parlato è predominante in tutta la storia. Però al tempo stesso ci sono attimi molto minuziosi, dettagliati, dove Calvino sfoggia tutta la sua abilità nel descrivere personaggi e luoghi.

È affascinante come, nonostante il narratore sia onnisciente e il libro sia scritto in terza persona, l’autore scelga di raccontare tutto da un punto di vista anonimo alla guerra, quello di un bambino. È particolare come riesca ad allontanarsi dai fatti che lui stesso ha vissuto, facendoceli vedere dagli occhi di un bambino ingenuo e innocente, riuscendoci in modo efficace. Mi ha incuriosito questa sua scelta, perché dissociarsi in questo modo da eventi così vicini a lui?

Nella prefazione, che consiglio caldamente, racconta che il suo era un periodo facile e difficile per gli scrittori. Facile perché tutti nel dopoguerra avevano qualcosa da raccontare; un bisogno fisiologico di spalmare su carta la propria versione, la crudeltà di quello che avevano vissuto. Difficile perché, a causa della forte identità del partigiano che era nata nella popolazione, non si potevano creare personaggi che rappresentassero il partigiano modello o la sua psicologia. Lui lo definiva un pericolo. Sicuramente qualcuno avrebbe avuto da ridire.

Così usa l’innocenza del bambino come sguardo sui fatti, mettendo la guerra in secondo piano. E lo fa in un modo estremamente coinvolgente, sia grazie all’uso di frequenti similitudini per rendere partecipe il bambino sulla difficoltà della guerra, sia per i dettagli che lui decide di far emergere, come i ragionamenti di Pin che sono molto semplici. La sua innocenza mi ha fatto venire più volte la pelle d’oca per quanto fosse reale, buttata in un contesto di violenza, guerra, degrado.

La grande forza di quest’opera sta anche nei personaggi. Sono molti, ma davvero tanti. Di solito è un rischio perché si possono trovare molti personaggi bidimensionali, senza carattere; però qui è tutto calcolato. Cesare Pavese definisce questo libro come una fiaba, per lo stile e per la storia. Calvino si aggrappa a questo e giustifica così la presenza di numerosi personaggi.

Infatti, più che personaggi, sono simboli e questo permette loro di non essere sempre super caratterizzati, ma di avere comunque una grande rilevanza per la storia. Come il Lupo Rosso, elemento fondamentale per la rivoluzione e ammirato da tutti. O il Cugino stesso, l’omone che diventerà l’amico di Pin, oppure tutti i singoli partigiani, caratterizzati da nomignoli che il bambino dà loro.

Per me il tema che emerge di più è quello dell’amicizia, che è collegato anche a quello del rapporto tra i piccoli e i grandi. Pin per tutto il romanzo cerca un amico con cui condividere il grande segreto del sentiero dove fanno i nidi i ragni, posto da lui definito come “magico perché accadono cose magiche”.

Tutti i personaggi che incontra vorrebbe che fossero suoi amici, ma hanno sempre quel qualcosa che a lui non va bene. Spesso si sente solo e l’idea di tornare a prendere la pistola nascosta nel suo luogo magico lo anima, perché è l’unica cosa che gli rimane. Non ha più una casa, non ha amici, ma ha sempre il suo luogo magico.

Il rapporto tra i piccoli e grandi si collega bene perché Pin è molto giudizioso, ha grande stima per gli adulti che però spesso lo deludono, dicendo una cosa ma facendone un’altra. Anche per questo Pin fa fatica a trovarsi un amico, in quanto pur essendo un bambino si basa solo sulla coerenza degli adulti.

Queste due tematiche sono talmente forti che spesso la guerra riesce a passare in secondo piano.

Se mi sono scaraventato su questo comodo divano a leggerlo è proprio perché questo romanzo scorre come l’acqua, il che, per essere di Calvino, è una sorpresa unica. Il suo primo libro è il suo primo sguardo sul mondo, che ci aiuta a vivere con serenità e non troppa spinta emotiva un periodo molto difficile della nostra storia.

L’innocenza e la sincerità di Pin mi hanno permesso di godermi, sotto la mia soffice copertina, una storia di amicizia e di rispetto reciproco, accompagnata anche da tante risate.

Pietro Mella Bitti

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