Recensioni
Il buio oltre la siepe, Harper Lee
Mondi tra le righe
Perché è peccato uccidere un usignolo?
Vi vedo seduti in metropolitana, sul bus o sul tram. Vi vedo che fumate una sigaretta, fate colazione, passate il tempo mentre sperate che la lezione finisca magicamente più in fretta.
Smettete di leggere e chiudete l’articolo. Subito. Riprendetelo questa sera, quando tutto il peso della giornata sarà scemato e potrete concedervi un the caldo, sul vostro comodo divano, sotto la vostra copertina preferita.
Perché questa è una storia che merita tutta la vostra attenzione, una storia di innocenza, pregiudizio e ingiustizia.
Il buio oltre la siepe è il romanzo d’esordio di Harper Lee e ha riscontrato fin da subito un enorme successo: pubblicato nel 1960, nello stesso anno vince il premio Pulitzer. Due anni dopo, invece, viene tratto l’omonimo film, che vince tre premi Oscar.
L’autrice, per narrare la vicenda, prende spunto dalla sua esperienza reale di vita: nata in Alabama da padre avvocato, perde la madre a venticinque anni. Uno dei suoi più cari amici di infanzia è Truman Capote, da cui l’autrice prende ispirazione per creare il personaggio di Dill.
La storia narrata si svolge all’inizio degli anni Trenta a Maycomb, una città fittizia dell’Alabama, dove vivono l’avvocato vedovo Atticus Finch e i suoi figli Jem, il maggiore, e Scout, la più piccola, insieme alla cuoca Calpurnia. L’intera vicenda è narrata in prima persona da Scout, impulsiva, spigliata e mascolina, che mostra al lettore la visione infantile del mondo che la circonda, le avventure che intraprende insieme al fratello e, dall’altro lato, la purezza del parere di un bambino, ancora protetto dal pregiudizio e dal bigottismo della società.
I primi capitoli parlano della quotidianità dei due fratelli, nella calda cittadina di Maycomb, dove conoscono Dill, che diventa subito loro compagno di giochi. I tre lanciano erroneamente la palla nella proprietà di Boo Radley, un “essere umano invisibile” dal quale i ragazzini sono sia intimoriti, sia incuriositi: non l’hanno mai visto e nel quartiere si vociferano cose davvero inquietanti sul suo conto. La lettura prosegue scorrevole grazie ai dialoghi veloci e all’interesse suscitato dalla figura di Boo.
Il fulcro del romanzo, però, è un’altra vicenda, in netto contrasto con gli episodi spensierati raccontati finora: Atticus sta lavorando al caso di un uomo di colore, Tom Robinson, accusato ingiustamente di violenza sessuale nei confronti di una ragazza bianca, la figlia degli Ewell. Qui il tono del romanzo cambia, si passa da una realtà bambinesca e sognante, a una molto più cruda.
È in questo momento che la scelta del punto di vista torna utile per enfatizzare l’ingiustizia di questa storia.
Scout si fida e rispetta ciecamente il padre, e lo difende a parole e a cazzotti quando a scuola, in famiglia e nella comunità viene definito “un amico dei cioccolati” e viene giudicato per aver preso in carico la difesa di Tom. Atticus è un uomo d’onore e intende provare a tutti i costi l’innocenza dell’uomo, pur essendo consapevole di non avere opportunità di evitargli la pena di morte.
Viene lasciato molto spazio al processo, nel quale appare evidente l’innocenza di Tom. La cosa che più fa stringere il cuore, è la convinzione di Jem dell’imminente vittoria di Atticus: lui e Scout vedono chiaramente le prove in favore di Tom, mentre il resto della giuria vede solo il colore della sua pelle.
La sentenza a questo punto appare evidente.
Quando arriverete a questo punto del romanzo, vi assicuro che qualcosa dentro di voi si romperà; io stessa, mentre scrivo questo estratto, vedo lo schermo sfocato:
“- Che c'è, figliolo? -
- Come hanno potuto farlo, come hanno potuto? –
- Non so, ma l'hanno fatto altre volte e lo faranno ancora e quando lo fanno, a quanto pare, sono solo i bambini che piangono. Buona notte.”
Oltre all’importanza del messaggio, di cui parleremo tra poco, la lettura è veloce e facilmente comprensibile, grazie a lessico e periodi semplici, alla paratassi e all’alternanza di sequenze descrittive e dialoghi, i quali più di frequente sono un botta e risposta. Durante il processo, invece, si allungano per dare spazio alle testimonianze e alla difesa.
I personaggi sono davvero ben caratterizzati, a un certo punto vi sembrerà di conoscerli: alla fine del romanzo proverete un rispetto sconfinato per Atticus, compassione nei confronti di Jem, entrato brutalmente nella vita degli adulti, e tenerezza e ammirazione nei confronti di Scout, cocciuta, sensibile, ingenua come tutti i bambini della sua età.
Come scoprirete, o forse avrete già intuito, ho un cuore fatto di sabbia cinetica, infatti questa storia me lo ha sbriciolato. Il razzismo è stato ed è, a distanza di sessantatré anni, un tema scottante, difficile da estirpare, e proprio per questo doveroso di attenzione. La gente deve ancora capire che non esistono neri cattivi, o bianchi buoni: esistono uomini cattivi e uomini buoni.
Il messaggio di questo romanzo è imprescindibile, e non sono solo io a pensarlo: nel 2007, Harper Lee è stata premiata con la più alta onorificenza civile statunitense, la Medaglia presidenziale della libertà, per questo romanzo che:
Come ultima riflessione, mi sembra carino ricordare il titolo originale del libro - dato che le traduzioni fanno quasi sempre cagare: "To kill a Mockingbird", ovvero "uccidere un usignolo", una struggente metafora che vi sfido a ritrovare nel romanzo:
“Gli usignoli non fanno nient’altro che donare musica agli uomini. Non divorano gli orti della gente, né fanno il nido nei covoni; non fanno altro che cantare per noi con tutta l’anima. Ecco perché è peccato uccidere un usignolo.”