Recensioni
I pirati della selva - Mario Balsamo
Mondi tra le righe
RED STAR PRESS 2024
Ya basta!
All’una di notte del primo gennaio 1994, da un freddo acutissimo, spuntarono dalla selva migliaia di uomini armati. Erano diretti a San Cristobal de Las Casas, Ocosingo, Las Margaritas, Chanal e Altamirano. La Storia stava passando nel Chiapas, remota regione nel Sud del Messico, stretta tra la Sierra Madre e il Guatemala. Quella che quest’anno compie trent’anni, e che è riconosciuta come l’ultima rivoluzione del Novecento sudamericano, ha un nome e un volto di riferimento. Quello nascosto dal passamontagna e dalla pipa del subcomandante insurgente Marcos.
Le rivendicazioni dell’Ezln (Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale) traevano le loro origini dal personaggio da cui prendono il nome.
Emiliano Zapata, el Jefe del Sur, è la figura rivoluzionaria che più ha condizionato la visione politica e sociale degli uomini di Marcos. La rivendicazione delle terre a favore dei campesinos indigeni, uomini e donne sottoposti alle violenze dei finceros e del governo centrale della federazione messicana. La richiesta delle dimissioni di un governo considerato colluso con gli interessi dei grandi gruppi economici nordamericani e la pretesa di autonomia legislativa ed esecutiva per le popolazioni che nulla avevano ricevuto dai governatori statali, se non discriminazioni e abusi.
La tierra es para quien la trabaja! (La terra è di chi la lavora!). Questo era il grido della rivoluzione zapatista, e questo è il grido che riecheggia tra gli uomini che si aggirano nella Selva Lancadona un secolo dopo la fine di Zapata.
“Con voce squillante le disse:” Signora, prendo tutti i passamontagna neri e gliene ordino degli altri”.
“Hai una famiglia numerosa, eh?” scherzò Munda, fingendo un’aria preoccupata.
“Sì siamo molti” rispose con un sorriso il sottocomandante Marcos “però non sono figli miei. Piuttosto fratelli. Generati dai campi. E ne stanno spuntando sempre di più!”.
“Quanti te ne servono?”.
“Vediamo… Qui ce ne sono dieci… quindici…” e, dopo aver fatto un rapido calcolo mentale, esclamò “altri trecento”.
Da queste vicende trae spunto Mario Balsamo per la realizzazione del romanzo storico I pirati della selva, edito da Red Star Press e pubblicato in occasione dei trent’anni dalla presa di San Cristobal de Las Casas. Ma si tratta di un romanzo atipico, in cui realtà e finzione vanno a braccetto, accompagnando il lettore in un viaggio denso della presenza storica dei protagonisti delle vicende quanto della presenza eterea delle divinità indigene che popolano l’impenetrabile vegetazione del Chiapas.

Anche il piano temporale accompagna questa sensazione di smarrimento. Sono infatti diversi i momenti che si intrecciano nella trama, contribuendo a costruire un quadro sfaccettato dell’ultimo secolo. Si parte con Emiliano Zapata in persona, in sella al suo purosangue e si passa attraverso le vicende di una famiglia di campesinos per arrivare a raccontare i primi tempi della vita da guerrigliero del futuro subcomandante. A legare queste narrazioni, la storia di Fabiola, una ragazza italiana che decide di partire per il Chiapas all’alba della rivoluzione per partecipare alla Convenzione nazionale democratica: una conferenza organizzata dagli zapatisti nel folto della selva per dare un posto di primo piano alla società civile nelle fasi successive al levantamento delle popolazioni indigene. Una nave pirata, saldamente ancorata alle radici della terra, pronta a salpare verso il domani di uno Stato vittima di interessi economici e di potere al di fuori del controllo dei suoi abitanti.
“Il sottocomandante chiese al suo equipaggio di avvisare i passeggeri che stavano per essere tolti gli ormeggi e che li avrebbe voluti sul ponte per parlare loro. Il fischietto del nostromo significava che la ciurma doveva correre alle barre dell’argano. “Mollate le cime… Salpate l’ancora…”. La vela prese subito tutto il vento che scuoteva la Selva: si udì il fracasso di piante schiacciate dalla chiglia della nave e i legni dello scafo produssero ripetuti schicchiolii di assestamento. I marinari correvano da un punto all’altro, tirando le funi. C’era un furioso ma ordinato fermento e i passeggeri, che affollavano in un crescendo il ponte, ne rimasero galvanizzati. Battevano le mani o si paralizzavano per la commozione, finché si avvertì il lento ma poderoso movimento che presto diventò una rapida spinta. Aguascalientes era stata varata: in un attimo abbandonò la terraferma e la sicurezza dell’approdo per spingersi al largo…”
Fabiola si lascia trascinare dagli ideali democratici in un’avventura al di fuori degli standard occidentali. Alla ricerca del vero significato del termine “partecipazione”, il cui monopolio sembra essere delle moderne democrazie. Un romanzo che non è un romanzo per quanto è imperniato di Storia, lotta e realtà. Uno spaccato storico che non è reale per quanto è imperniato di leggenda. Ora che la figura del subcomandante Marcos ha lasciato posto alle nuove leve dell’esercito rivoluzionario è possibile guardare indietro agli eventi che hanno contribuito alla creazione dell’epica di questa battaglia.
Grazie alle parole di Balsamo torna a risuonare, più forte di allora, il grido insieme disperato e indomito di chi ha fatto ricorso alle armi con la speranza di non doverle usare mai più. Ya basta! Ora basta!