Recensioni
Croste, Jessica La Fauci
Mondi tra le righe
Il dolore di tre donne
Le porte che conducono all’inferno sono molteplici, invisibili e nascoste. Secondo me una di queste soglie si cela nella nostra mente e quello che ci spaventa di più non è trovarla, ma cercarla. Dietro questo ingresso maledetto strisciano rabbia, violenza e odio. In poche parole, il male. Infatti oggi vi parlerò di Dialoghi sul male, di Luigi Zoja, quindi tenete a bada i demoni e bloccate la porta.
Dialoghi sul male è un libro di Luigi Zoja, pubblicato nel 2022, in cui l’autore narra tre storie apparentemente distaccate l’una dall’altra, poiché in ogni racconto cambia il tempo, il luogo e il protagonista. Ma questi dialoghi sono legati da due fili conduttori, il male e la psicoanalisi, ed entrambi uniscono il romanzo e le protagoniste Wang, Sophie e Telma. L’autore mi trasporta in mezzo a queste fiamme senza avvisare, in maniera quasi brutale, e mi costringe a mettere le mie certezze su due bilance, dove da una parte sta il bene e dall'altra il male.
Nel primo dialogo, Il tappeto, la storia è raccontata dal punto di vista di un’amica di Wang mentre si rivolge a un professore di psicologia. Nelle prime righe la ragazza dice subito che vuole condividere con gioia i suoi ricordi al professore, per ricambiare, ma anche con dolore, perché nessuno vuole tornare all’inferno. Zoja introduce il racconto partendo da lontano, così da poter creare meglio l’atmosfera, e parla della Rivoluzione Culturale con un tono molto vicino a quello saggistico, per poi andare nel dettaglio dell’accaduto. Il primo personaggio che mi colpisce è Yunshi, una piccola leader della Rivoluzione Culturale, che è convinta di sapere dove si trovi il bene e il male. È sicura di poter giudicare e condannare chi non è d’accordo con le parole del Libretto Rosso del Presidente Mao. La ragazza fa un discorso, durante l’assemblea scolastica, in cui spiega che le insegnanti sono controrivoluzionarie e vanno rieducate. La prima ad essere condannata è l’insegnante Litzhou, madre di Wang, che viene picchiata e umiliata dalla figlia stessa. La violenza e la brutalità che vengono mostrate diventano addirittura insopportabili a un certo punto. Ma l’odio delle studentesse continua, perché Litzhou e le insegnanti vengono messe sotto un tappeto, dato che secondo Yunshi sono la sporcizia da nascondere, e vengono picchiate ancora. Quando Wang torna a casa è in uno stato confusionale e non sa cosa fare. La sera il custode della scuola consegna i resti di Litzhou avvolti nel tappeto a Wang, che rimane paralizzata. Alla fine del racconto, dopo molti anni, Wang si suicida perché non riesce più a sopportare quel male.
Perché vivere? è il secondo dialogo e segue il punto di vista dello psicoanalista italiano di Sophie, che sospetta una partecipazione della ragazza a un possibile attentato, dato che trova nella sua borsa un timer per lavatrici. Il racconto è ambientato a Zurigo, durante gli anni di piombo, e lo psicologo si rivolge a M, il suo psichiatra maestro, per capire quale scelta compiere. Da una parte tradire la fiducia della paziente e dall’altra pensare al bene comune. Qui M pronuncia la frase chiave del racconto, perché gli dice che non esiste un bene assoluto e l’unica scelta è quella fra due mali. La vicenda si complica quando la ragazza tenta il suicidio, poiché si sente intrappolata dalle sue decisioni, ma in qualche modo si salva e viene ricoverata. Lo psicologo va a trovarla nella camera asettica dell’ospedale e i due personaggi dialogano sulla domanda “Perché vivere?” Qui viene fuori che Sophie ha preso quel timer perché uno sconosciuto le ha chiesto di farlo, e che lei è stata spinta a compiere quella scelta dal bisogno di avere un legame con una persona. La ragazza però si pente e chiede allo psicologo di far sparire il timer per lei, mettendolo ancora una volta nella condizione di scegliere tra due mali. Alla fine decide di aiutarla buttando l’oggetto nel fondo di un lago.
Il terzo e ultimo dialogo è intitolato In questa strada di Buenos Aires, e la protagonista è Telma. Anche qui la storia è narrata da una psicologa, quella di Telma per l’appunto, e racconta del bisogno che ha la protagonista di colmare un vuoto, quello delle sue origini. Dopo aver scoperto dalla madre di essere stata adotta cerca le radici della sua famiglia scavando nella storia, fino alla dittatura argentina. Telma, inizialmente, è convinta di essere figlia di desaparecidos, ma dopo varie ricerche e un colloquio irruento con la madre viene a conoscenza che è stato il padre, ormai morto da tempo, a gestire le pratiche dell’adozione. Ma la madre le confessa che non sa altro, lasciandola ancora nel mistero e con un vuoto da colmare. Le risposte che cerca le trova da sua zia Claudia, sorella del padre, che fino a quel momento aveva visto raramente per colpa della madre. La donna ha tutte le informazioni del suo passato e riesce finalmente a colmare il vuoto di Telma. Le racconta che la sua nascita è frutto di una squallida storia di tradimento coniugale, poiché la sua vera madre è una collega di lavoro del padre. La storia si conclude con una lettera che spedisce Telma alla psicologa, dove la ragazza comunica di voler interrompere le sedute perché sente di aver colmato il vuoto.
Zoja racconta queste tre storie con uno stile di scrittura analitico e preciso. Il male viene mostrato attraverso le parole delle protagoniste, che provano un dolore reale. Per Wang, Sophie e Telma l’inferno è tangibile, è qualcosa che possono vedere e sentire, perché si nasconde dentro di loro. Dopo aver chiuso l’ultima pagina mi è rimasta una domanda, ovvero, nella realtà di oggi è ancora concesso di essere tristi e mostrare a tutti il male che abbiamo dentro?