Recensioni
Alzarsi presto - Sandro Campani
Mondi tra le righe
Il libro dei funghi (e di mio fratello)
Uno dei due sta in pianura, l’altro vive ancora nella casa dell’appennino tosco-emiliano dove sono cresciuti. Uno lavora in fabbrica e coltiva l’amore per la letteratura, l’altro è un cercatore di tartufi e fungaiolo. L’uno è fratello dell’altro: e questi fratelli sono Sandro e Pietro. Alzarsi presto è la loro storia. La storia delle loro camminate in mezzo ai boschi della loro vita. Ma non solo.
“Se incroci per caso mio fratello e gli chiedi: “Da dove vieni?” Lui dice: “Dal percorrere la terra, e dal camminare per essa in lungo e in largo”, che è la risposta di Satana a Dio, all’inizio del libro di Giobbe.”
Sandro Campani con questo libro riesce nell’impresa di raccontare gli interstizi di una vita qualunque. Le piccole parentesi ordinarie che intercorrono nella relazione tra due fratelli; simili per tanti aspetti, diversissimi per altri. È un racconto che sembra sospeso nel tempo e nello spazio. Non perché manchino coordinate spaziali o temporali, ma perché tutto quello che viene descritto sembra immerso in una costante nebbiolina che congela quanto accade nei boschi e lo nasconde al resto del mondo.

Si tratta di una composizione di episodi; momenti strappati alla semplicità di essere uno spaccato di quotidianità e che prendono la sostanza di un’epica popolare. Sandro, con la sua avversione e attrazione per il mondo agreste da cui ha deciso di allontanarsi, e Pietro con il suo determinato sforzo di calcare ancora e ancora quegli stessi passi che lo hanno preceduto nei secoli. Sembrano quasi sovrapporsi questi due fratelli, come a simboleggiare le due facce di ogni uomo: una irrequieta e desiderosa di vedere “di più e di meglio” e una profondamente radicata alle sue radici e alla sua identità.
Ma la narrazione non sfrutta mai questi espedienti retorici. Anzi rimane ancorata al terreno come la terra che si propone di raccontare. La voce narrante è sempre quella di Sandro, e quindi tramite la sua interpretazione delle cose e dei rapporti prendiamo consapevolezza di quello che accade. Si tratta, in sostanza, della storia di un rapporto. Un rapporto tra uomini e un rapporto tra di essi e il territorio. La penna di Campani non dimentica mai di tracciare paralleli tra il mondo dei suoi avi e quello su cui calcano i passi i suoi personaggi. Che alla fine, tanto personaggi non sono; bensì persone.
“Arrivando da ore di bosco – guardando da sotto, protetti dall’ombra, la schiarita di un campo con la sua casa in mezzo – ci affacciamo sulla vita degli uomini da fuori; cominciamo a trovare i sacchi di plastica, le cassette di frutta sfondate, i copertoni (quanti copertoni!), le vasche da bagno ribaltate, anni di birre stappate bevute e buttate giù per la stessa ripa, e cominciamo a vedere che cosa vuol dire quel tempo in cui si viveva davvero nei posti, giorno per giorno (adesso, si spera, i più vanno all’isola ecologica; ma i più sono diventati meno: dove non stai, non produci rifiuti); e anche questo stesso mondo in cui stiamo vivendo, girando dietro ai cinghiali nella siccità irreversibile, bestemmiando per il poco che troviamo, è un mondo di prima. Ma noi ne abbiamo la consapevolezza: stiamo camminando nel mondo di prima.”
Ed è proprio Sandro, tra i due quello apparentemente più incluso nel mondo di sotto, fatto di relazioni e modernità, che sembra soffrire di più il confronto. Lo si vede in ogni capitolo, in ogni episodio in cui riesce a mettersi a nudo, che il suo rapporto con Pietro e con la sua terra d’origine è marchiato da un senso latente di disfatta e di malinconia che non sembra esserci in Pietro.
Il loro rapporto, o meglio la sua celebrazione, è quello che fa sentire Sandro ancora in grado di resistere nello stato in cui è. Finché qualcuno con cui ha un legame così profondo porta avanti quella vita lui è in qualche modo dispensato dal dover fare i conti con il suo ammutinamento. E questa sensazione si mischia di continuo con quella della distanza. Con la consapevolezza (o la necessità di convincersene) che lui non è mai appartenuto a quel luogo. Pietro si guarda indietro, cercando indizi sulla sua diversità, e su guarda avanti, cercando disperatamente appigli per non sentirsi, in fondo così diverso.
Non è quello che succede a tutti noi?
“E penso, a memoria, che appena Pietro è arrivato a quell’età in cui la differenza d’anni fra di noi ha smesso di contare – non garantiva a me più fiato, né più gamba – è stato chiaro che quello portato era lui. Il modo in cui si ricordava le fungaie; quella sorta d’intenzione nello sguardo, come un sesto senso coltivato, di chi prevede quel che troverà. La stessa cosa che ho sempre notato guardando mio padre.
Dev’esserci stato un periodo in cui questo stacco ha iniziato a bruciarmi. Ero miope, lentigginoso e rossiccio, e mi accaldavo subito, la faccia viola neanche avessi corso un giorno, proprio come la mamma, e non me lo volevo perdonare.
A un certo punto mi sono messo in testa di leggere, di scrivere, e suonare, faccende in cui nessuno mette becco:
“Vieni a funghi?” “Oggi no, ho le prove”.
“Domani andiamo in Maremma”. “’Co cane, c’è un concerto, tornerò all’ora in cui partite”.
“Sabato andiamo in Trentino”. “Eh papà, ho un esame lunedì”.
(Nel mondo opposto, un compagno di classe carpigiano, ossigenato, lampadato, discotecaro e belloccio diceva: “Vai pure a funghi, Campani, che io vado a figa”. Sempre fra due mondi, sempre col senso di non capirne alcuno, di non capirlo in fondo, d’esser sbaglaito e nel posto sbagliato).”